By Dr Oliver Tearle
Il primo soliloquio di Amleto nell’opera di Shakespeare, il discorso che inizia ‘O, that this too too solid flesh would melt’ (in alcune edizioni, ‘O, that this too too sullied flesh would melt’ mentre, in altre, ‘O, that this too sallied flesh would melt’) è uno dei discorsi più famosi dell’opera, e come tutti i soliloqui di Amleto, il linguaggio richiede una certa disanima.
Prima, ecco un richiamo del discorso per intero, seguito da alcune parole di analisi. Il soliloquio “O, che questa troppo solida carne si sciolga” si trova nell’Atto I Scena 2 dell’Amleto. (Abbiamo riassunto l’Amleto qui e offriamo un’analisi dei temi dell’opera in un post separato.)
O, che questa carne troppo solida si sciolga
scongeli e si risolva in rugiada!
O che l’Eterno non abbia fissato
il suo canone contro l’auto-omicidio! O Dio! Dio! Quanto stanchi, stantii, piatti e inutili,
mi sembrano tutti gli usi di questo mondo! E’ un giardino senza erba,
che cresce a seme; le cose volgari e grossolane della natura
lo dominano soltanto. Che si arrivi a questo!
Ma due mesi morti; no, non tanto, non due:
Un re così eccellente; che era, a questo,
Hyperion a un satiro; così amorevole a mia madre
Che non potesse scommettere che i venti del cielo
visitassero troppo rudemente il suo volto. Il cielo e la terra!
Devo ricordarmene? Perché, lei pendeva da lui,
come se l’appetito crescesse
da ciò di cui si nutriva; eppure, nel giro di un mese –
Non pensarci – Fragilità, il tuo nome è donna! –
Un mese, o prima che fossero vecchie quelle scarpe
con cui seguiva il corpo del mio povero padre,
come Niobe, tutta lacrime: – perché lei, anche lei –
O, Dio! una bestia, che vuole parlare di ragione,
avrebbe pianto più a lungo – si sposò con mio zio,
il fratello di mio padre, ma non più simile a mio padre
che io a Ercole: entro un mese:
se ancora il sale delle lacrime più ingiuste
avesse lasciato il rossore nei suoi occhi feriti,
si sposò. O, perfida rapidità, per posare
con tanta destrezza su lenzuola incestuose!
Non è né può venire a buon fine:
Ma spezza, cuore mio; perché devo tenere a freno la lingua.
‘O, che questa troppo solida/carne insudiciata/salata si sciogliesse’: anche il primo verso di questo soliloquio di Shakespeare presenta una serie di problemi interpretativi. La stampa del Primo Quarto (o ‘Bad Quarto’) dell’Amleto del 1603 aveva ‘sallied’, che significa ‘attaccato’, ‘assalito’, o ‘abbindolato’. Tuttavia, dato che questa era una stampa ‘cattiva’ dell’opera (altrove in quella versione, il celebre soliloquio ‘To be or not to be’ si apre invece ‘To be or not to be, I there’s the point’), molti editori hanno scelto di ‘correggere’ la parola ‘sallied’ in ‘sullied’, che significa contaminato. Nel frattempo, la stampa dell’Amleto nel Primo Folio del 1623 ha ‘solido’.
C’è un caso per tutte e tre le parole nel contesto: Amleto può ben sentire che il suo stesso essere è sotto attacco, data la recente morte di suo padre e il rapido risposarsi di sua madre con Claudio. Allo stesso modo, Amleto è ossessionato dalle cose malate o marce, quindi anche ‘sullied’ come ‘contaminato’ suonerebbe bene. Ma dato il contesto, probabilmente l’interpretazione più diffusa è che ‘solido’ sia la parola giusta qui, poiché Amleto continua a parlare della sua stessa carne che ‘si risolve’ (cioè si dissolve da uno stato solido ‘in una rugiada’).
Interessante, nell’edizione Arden dell’opera, Hamlet: Revised Edition (The Arden Shakespeare Third Series), gli editori Ann Thompson e Neil Taylor scrivono che a molti critici ed editori non piace ‘solido’ perché ‘suona infelicemente per alcuni lettori con la successiva dichiarazione di Gertrude che Amleto è grasso’ (vedi la dichiarazione di Gertrude in V.2 durante il duello tra Amleto e Laerte, “È grasso e senza fiato”).
In ogni caso, e qualunque lettura si scelga di adottare, il significato è lo stesso: Amleto desidera che il proprio corpo si dissolva. Se solo potesse dissolversi in una rugiada, e lui potesse cessare di esistere, potrebbe lasciarsi alle spalle tutti i problemi della vita!
O che l’Eterno non avesse fissato
il suo canone contro l’auto-omicidio!
Siccome è improbabile che il suo corpo si trasformi da solo in rugiada, l’opzione successiva sarebbe quella di porre fine alla propria vita attraverso il suicidio, ma Amleto non può farlo perché Dio (‘l’Eterno’) ha vietato il suicidio (‘canone’ qui si riferisce alla legge divina).
O Dio! Dio!
Come mi sembrano stanchi, stantii, piatti e inutili,
tutti gli usi di questo mondo! E’ un giardino incolto,
che cresce fino a diventare seme; le cose volgari e grossolane della natura
lo dominano soltanto.
In versi che sono diventati famosi, Amleto esprime la disperazione sul mondo più ampiamente, oltre lui stesso. Tutto sembra sbiadito e incolore, e alla fine non si ottiene nulla da quello che si fa. Il mondo intero è come un giardino pieno di erbacce – erbacce disgustose e corrotte che si sono impossessate di tutto il giardino.
Che si arrivi a questo!
Ma due mesi morti: no, non tanto, non due:
Così eccellente un re; che era, a questo,
Hyperion a un satiro; così amorevole a mia madre
Che non potesse scommettere i venti del cielo
Visitare il suo volto troppo rudemente.
Ora, Amleto si concentra sulla sua situazione personale, e otteniamo una visione di ciò che ha spinto questo sfogo di disperazione e frustrazione della vita. Suo padre è morto solo da due mesi – in effetti, non sono ancora due mesi pieni. Era un re eccellente, e paragonarlo al nuovo re, Claudio, lo zio di Amleto, è come paragonare il dio Iperione (il dio greco del sole della mitologia classica) a un satiro, una bestia mitica che veniva raffigurata dai romani come una capra (associando Claudio alla volgarità).
Infatti, il padre di Amleto era così affettuoso con la madre di Amleto, Gertrude, che non avrebbe permesso (‘beteem’) al vento di soffiare troppo forte sul suo viso. (Questa immagine del tempo si accorda con l’idea che Amleto ha del padre morto come un dio del sole.)
Cielo e terra!
Devo ricordare? Perché, lei pendeva da lui,
come se l’appetito crescesse
da ciò di cui si nutriva; eppure, entro un mese –
Non lasciarmi pensare a questo – Fragilità, il tuo nome è donna! –
Hamlet esprime la sua rabbia nei confronti di sua madre, che pende da Claudio come se il suo desiderio per lui fosse solo aumentato dall’essere soddisfatto (dal padre di Amleto). È come se Gertrude fosse stata amata così bene dal vecchio Amleto che, piuttosto che stare seduta a piangere la sua morte, ha bisogno di procurarsi la sua ‘dose’ da qualche parte.
Hamlet dà la colpa del frettoloso risposarsi di sua madre alla sua ‘fragilità’ come membro del genere femminile: le donne sono l’incarnazione stessa della ‘fragilità’, cioè la mancanza di costanza in amore. O, per tornare all’immagine della ‘carne’ con cui Amleto ha iniziato questo soliloquio, le donne sono troppo deboli quando si tratta di questioni di carne, e cedono troppo facilmente.
Un piccolo mese, o prima che quelle scarpe fossero vecchie
Con cui lei seguiva il corpo del mio povero padre,
come Niobe, tutte lacrime; – perché lei, anche lei –
O, Dio! una bestia, che vuole discorsi di ragione,
avrebbe pianto più a lungo – sposata con mio zio,
il fratello di mio padre, ma non più simile a mio padre
che io a Ercole:
Prima che le scarpe di Gertrude che indossava al funerale del vecchio Amleto fossero vecchie, sposò lo zio di Amleto, che è tanto simile al padre di Amleto quanto Amleto lo è al muscoloso eroe della leggenda classica, Ercole. Gertrude pianse mentre camminava dietro il corpo del vecchio Amleto al suo funerale, piangendo lacrime proprio come fece Niobe, un’altra figura mitologica greca, quando i suoi figli furono uccisi; ma anche una ‘bestia’ priva di ragione avrebbe pianto per un marito morto più a lungo di quanto fece Gertrude.
Nelle ultime righe del soliloquio, Amleto si riferisce alle ‘lenzuola incestuose’ del letto che Gertrude divide con Claudio. Un tale concetto di ‘incesto’ – sposare qualcuno che non era un parente di sangue ma un parente per legge – sarebbe stato senza dubbio familiare a molti degli spettatori originali del pubblico elisabettiano di Shakespeare: lo stesso padre della regina, il re Enrico VIII, aveva giustificato il suo divorzio dalla sua prima moglie, Caterina d’Aragona, con la motivazione biblica che era un atto proibito sposare la vedova del proprio fratello.
“Oh, che questa carne troppo solida si sciolga” si conclude con Amleto che deve sopportare il suo cuore spezzato in silenzio, perché a questo punto dell’opera, l’amico di Amleto, Orazio, arriva con la notizia dell’avvistamento del fantasma sui bastioni, e Amleto sta per imparare che c’è ancora più motivo di odiare Claudio.
L’autore di questo articolo, Dr Oliver Tearle, è un critico letterario e docente di inglese alla Loughborough University. È autore, tra l’altro, di The Secret Library: A Book-Lovers’ Journey Through Curiosities of History e The Great War, The Waste Land and the Modernist Long Poem.