Atti 17:23 Infatti, mentre camminavo ed esaminavo i vostri oggetti di culto, ho trovato anche un altare con questa iscrizione: A UN DIO SCONOSCIUTO. Perciò ciò che voi adorate come qualcosa di sconosciuto, io ora ve lo proclamo.

(23) Io percepisco che in tutte le cose siete troppo superstiziosi. Non è facile esprimere la forza esatta dell’aggettivo greco. “Superstizioso” è, forse, troppo forte dal lato del biasimo; “devoto”, dal lato della lode. La parola che gli ateniesi amavano usare di se stessi (theosebes, un adoratore di Dio) risponde esattamente a quest’ultimo termine. Questo San Paolo non lo usa per gli idolatri, e lo riserva a coloro che adorano l’unico Dio vivo e vero, e usa una parola che, come il nostro “devoto”, sebbene non offensiva, era neutra con un leggero tocco di denigrazione. Il deisidaimon è descritto a lungo nei Caratteri di Teofrasto, il La Bruyere della letteratura classica (c. 17), come uno che consulta gli indovini e crede nei presagi, che rinuncia a un viaggio se vede una donnola sulla strada, e va con la moglie e i figli a farsi iniziare ai misteri orfici. Nikias, il generale ateniese, sempre oppresso dal senso di gelosia degli dei, e che contrordinava importanti movimenti strategici perché c’era un’eclissi di luna (Tucid. vii. 50), è un esempio cospicuo del deisidaimon nelle alte sfere. L’imperatore stoico, Marco Aurelio (Meditt. i. 16), si congratula con se stesso per non essere un tale deisidaimon, mentre ringrazia di aver ereditato la devozione (theosebes) di sua madre (i. 2). L’incipit guadagnerebbe, e forse era destinato a guadagnare, le orecchie dei filosofi. Qui, direbbero, c’è uno che, almeno, si eleva, come noi, al di sopra della religione della moltitudine.

Come passai, e vidi le vostre devozioni.–Meglio, come passai, e stavo contemplando gli oggetti del vostro culto. La parola inglese sembra essere stata usata nel suo vecchio senso, come se significasse ciò che la parola greca significa – l’oggetto, e non l’atto, della devozione. Così, Wiclif dà “i vostri mawmetis”–cioè, “i vostri idoli”. Tyndale, Cranmer e la versione di Ginevra danno “il modo in cui adorate i vostri dei”. La versione di Rhemish segue “Wiclif, e dà “i vostri idoli”.”

Ho trovato un altare con questa iscrizione, A DIO SCONOSCIUTO.–Il greco dell’iscrizione non ha articolo, e potrebbe, quindi, essere reso ad un DIO SCONOSCIUTO, come se fosse stato consacrato come offerta votiva per benefici che il ricevente non era in grado di assegnare al vero donatore tra i “molti dei e signori molti” che egli adorava. Così interpretato, non testimoniava direttamente alcun pensiero più profondo di quelli del politeismo popolare, e si trova sullo stesso piano degli altari A DIO SCONOSCIUTO, che sono menzionati da Pausania (i. 1-4) come installati nel porto e nelle strade di Atene, o alla descrizione che Teofrasto dà (come sopra) del deisidaimon che chiede agli indovini, dopo aver avuto un sogno inquietante, a quale dio o dea dovrebbe pregare. L’uso greco, tuttavia, non richiedeva l’uso dell’articolo in iscrizioni di questa natura, e la traduzione inglese è del tutto legittima come l’altra, e dà chiaramente il senso in cui San Paolo lo intendeva. Prendendo questo senso, vengono le domande: Quale pensiero esprimeva l’iscrizione? A quale periodo apparteneva? Una storia legata a Epimenide di Creta, che, come profeta di grande fama, fu invitato ad Atene in un momento in cui la città soffriva di pestilenza, è talvolta citata per fornire una probabile spiegazione della sua origine. Diogene Laerzio (Epimen. c. 3) racconta che egli liberò le pecore in città, e poi le fece sacrificare, dove si fermarono, al dio così indicato, cioè a quello la cui immagine o altare era più vicino al luogo, e che “altari senza nome” erano così da vedere in molte parti di Atene; ed è stato supposto che questo possa essere stato uno di questi altari, eretto dove non c’era un’immagine abbastanza vicina da giustificare un sacrificio a qualsiasi divinità conosciuta, e come Epimenide è affermato di aver offerto sacrifici sull’Areopago, che un tale altare possa essere stato in vista mentre San Paolo parla. Contro questo punto di vista, tuttavia, ci sono i fatti (1) che la narrazione di Laerzio non nomina alcuna iscrizione come quella di cui parla San Paolo, e piuttosto implica che ogni vittima trovasse il dio a cui apparteneva di diritto, o che l’altare fosse stato lasciato senza alcuna iscrizione; (2) che il linguaggio di San Paolo implica che egli non era in possesso di un’iscrizione. Paolo implica che egli abbia visto l’iscrizione mentre camminava per la città, e non che l’abbia guardata mentre parlava; e (3) che è difficilmente concepibile che un tale altare, in piedi in un luogo così cospicuo dal tempo di Epimenide, sia rimasto inosservato da un pensatore come Socrate. Girolamo (su Tito 1:12) taglia il nodo della difficoltà affermando che l’iscrizione in realtà recitava: “Agli dei dell’Asia e dell’Europa e dell’Africa, agli dei sconosciuti e strani”. È possibile che egli abbia visto un altare con tali parole e che sia giunto alla conclusione che si trattava di quello a cui si riferiva San Paolo; ma non è probabile che l’Apostolo si sarebbe azzardato a modificare l’iscrizione per adattarla alla sua tesi in presenza di coloro che avrebbero potuto confutarlo sul posto, e le sue parole devono essere accolte come indicanti ciò che egli aveva effettivamente visto.

Un passo del dialogo di Filopatride, attribuito a Luciano, dove uno degli oratori giura “per il Dio sconosciuto di Atene”, è interessante: ma, come scritto nel terzo secolo dopo Cristo, può essere solo un riferimento, non senza uno sberleffo, al discorso di San Paolo, e non può essere addotto come prova né dell’esistenza di un tale altare né del suo significato. Un’indagine indipendente, basata su dati finora non riferiti, porterà forse a conclusioni più soddisfacenti. (1) L’aggettivo verbale significa qualcosa di più di “Sconosciuto”. Aggiunge il fatto che l’Ignoto è anche l’Inconoscibile. È l’ultima confessione, come quella che abbiamo sentito ultimamente dalle labbra di alcuni studenti di scienze, dell’impotenza dell’uomo a risolvere i problemi dell’universo. Non afferma l’ateismo, ma non sa cosa sia la Potenza, che tuttavia sente che deve essere. (2) Come tale presenta un parallelo sorprendente con l’iscrizione che Plutarco (dc Isid. et Osir.) registra come trovata sul velo di Iside a Sais: “Io sono tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà; e nessun mortale ha sollevato il mio velo”. Che questa iscrizione esprimesse i pensieri più antichi dell’Egitto può forse essere messo in dubbio. Plutarco la riporta in greco, e questo probabilmente indica una data successiva alla fondazione della monarchia dei Tolomei (B.C. 367), forse contemporanea a Plutarco (A.D. 46-140). (3) Ancora più sorprendente, se possibile, è il parallelismo presentato da un altare trovato a Ostia, e ora nei Musei Vaticani. Esso rappresenta quello che è noto come un gruppo sacrificale mitraico, collegato, cioè, con il culto di Mitra, il dio Sole della successiva mitologia persiana, una figura alata che sacrifica un toro, con vari emblemi simbolici, come un serpente e uno scorpione. Sotto appare l’iscrizione (Orelli, Inser. Gel. ii. 5, 000)–

SIGNUM INDEPREHENSIBILIS DEI.

Sarà ammesso che questo esprime lo stesso pensiero dell’iscrizione che San Paolo cita; che è l’equivalente più vicino che il latino può fornire per il Dio “Ignoto e inconoscibile”. La frequente ricorrenza di gruppi mitraici in quasi tutti i musei, generalmente senza alcuna nota di tempo, ma, a giudizio degli esperti, che vanno dal tempo di Pompeo a quello di Diocleziano, mostra la prevalenza di questo culto del sole in tutto il mondo romano durante il primo periodo dell’impero. Ne abbiamo trovato un’interessante traccia a Cipro. (Vedi Nota su Atti 13:14.) Possiamo vedere la sua influenza sopravvissuta nella riverenza mostrata da Costantino al Dies Solis nell’osservanza generale di quel giorno in tutto l’impero. Altre iscrizioni, anche nei Musei Vaticani, come SOLI DEO INVICTO (Orelli, i., 1904-14), mostrano la sua prevalenza. La nostra domenica (Dies Solis), per quanto poco la sogniamo, è probabilmente una sopravvivenza del culto mitraico, che un tempo non sembrava improbabile, visto da un punto di vista meramente umano, presentare una formidabile rivalità con le pretese della Chiesa di Cristo. È, almeno, una notevole coincidenza che il venticinque dicembre fosse tenuto come festa di Mitra molto prima che fosse scelto dalla Chiesa occidentale per la festa della Natività. È vero che De Rossi, il grande archeologo romano, in una nota al presente scrittore, dà la probabile data dell’iscrizione in questione come appartenente al secondo o terzo secolo dopo Cristo; ma il culto mitraico è noto per aver prevalso ampiamente da un periodo molto precedente, e la chiesa di San Clemente, a Roma, dove sotto le due basiliche sono stati trovati i resti di un oratorio cristiano trasformato in una cappella mitraica, presenta un esempio memorabile della rivalità dei due sistemi. Nel complesso, quindi, sembra probabile che l’altare che San Paolo vide fosse un esempio precedente del sentimento rappresentato dall’iscrizione ostiense, e che possa aver trovato la sua espressione, con una formula altrettanto caratteristica, tra le molte forme del politeismo confluente di Atene. Plutarco (Pompeo) parla del culto di Mitra come se fosse stato portato in Europa dai pirati cilici che Pompeo sconfisse, e come se continuasse ai suoi tempi.

Che dunque voi adorate ignorantemente.–Meglio, come esprimere la connessione con l’iscrizione, Che dunque voi adorate senza sapere, che io vi dichiaro. I migliori MSS. danno il pronome relativo al neutro. Fu, forse, deliberatamente usato, come San Paolo usa la forma neutra per “Divinità” in Atti 17:29, e un sostantivo astratto analogo in Romani 1:20, per esprimere il fatto che gli Ateniesi erano ancora ignoranti della personalità del Dio vivente. Che un qualsiasi insegnante umano avesse il potere e l’autorità di proclamare quel “Dio sconosciuto”, facendosi conoscere dagli uomini, era ciò che né gli epicurei né gli stoici avevano sognato. Il verbo “dichiarare” è strettamente connesso con il termine “esporre” di Atti 17:18. Egli non disconosce questo elemento nell’accusa contro di lui.

Versetto 23. – Passò per passò, A.V.; osservò gli oggetti del vostro culto per vide le vostre devozioni, A.V. (τασ` σεβάσματα υμῶν: vedi 2 Tessalonicesi 2:4); anche un altare per un altare, A.V.; an per the, A.V.; what per who, A.V. e T.R.; worship in ignorance per ignorantly worship, A.V.; this per him, A.V. e T.R.; set forth per declare, A.V. AN UN UNKNOWN GOD. Non c’è una testimonianza diretta ed esplicita negli scrittori antichi dell’esistenza di un tale altare ad Atene, ma Pausania e altri parlano di altari a “divinità sconosciute”, come se fossero stati visti ad Atene, il che può ben essere inteso come diversi altari del genere, ciascuno dedicato a un dio sconosciuto. Uno di questi fu visto da San Paolo e, con tatto inimitabile, ne fece il testo del suo sermone. Non stava predicando loro un dio straniero, ma facendo loro conoscere uno che avevano già incluso nelle loro devozioni senza conoscerlo.
Commenti paralleli …

Lexicon

For
γὰρ (gar)
Congiunzione
Greco di Strong 1063: Per. Particella primaria; propriamente, assegnare un motivo.
come ho camminato intorno
διερχόμενος (dierchomenos)
Verbo – Participio presente medio o passivo – Nominativo maschile singolare
Greco forte 1330: Passare attraverso, diffondere (come un rapporto). Da dia e erchomai; attraversare.
e
καὶ (kai)
Congiunzione
Greco Forte 2532: E, anche, anche, cioè.
esaminato
ἀναθεωρῶν (anatheōrōn)
Verbo – Participio Attivo Presente – Nominativo Maschile Singolare
Greco Forte 333: Guardare attentamente, fissare, considerare. Da ana e theoreo; guardare ancora a.
il tuo
ὑμῶν (hymōn)
Pronome personale / possessivo – Genitivo 2a persona plurale
Greco di Strong 4771: Tu. Il pronome personale della seconda persona singolare; tu.
Oggetti di culto,

σεβάσματα (sebasmata)
Nome – Accusativo Neuter Plurale
Strong’s Greek 4574: Un oggetto di culto o di venerazione. Da sebazomai; qualcosa di adorato, cioè un oggetto di culto.
Ho anche trovato
εὗρον (heuron)
Verbo – Indicativo Aoristo Attivo – 1a Persona Singolare
Greco di Strong 2147: Forma prolungata di un primario heuro, che heureo è usato per esso in tutti i tempi tranne il presente e l’imperfetto trovare.
un altare
βωμὸν (bōmon)
Noun – Accusativo Maschile Singolare
Strong’s Greek 1041: Un altare, una piattaforma; un punto leggermente elevato. Dalla base della base; propriamente, uno stand, cioè un altare.
Con
ᾧ (hō)
Pronome personale / relativo – Dativo Maschile Singolare
Greco Forte 3739: Chi, che, cosa, che.
l’iscrizione:
ἐπεγέγραπτο (epegegrapto)
Verbo – Piuccheperfetto Indicativo Medio o Passivo – 3° Persona Singolare
Greco di Strong 1924: Scrivere su, inscrivere, imprimere un segno su. Da epi e grapho; inscrivere.
A uno sconosciuto
ΑΓΝΩΣΤΩ (AGNŌSTŌ)
Aggettivo – Dativo Maschile Singolare
Greco Forte 57: Sconosciuto, inconoscibile. Ignoto.
Dio.
ΘΕΩ (THEŌ)
Sostantivo – Dativo Maschile Singolare
Greco Forte 2316: Una divinità, specialmente la Divinità suprema; in senso figurato, un magistrato; per l’ebraismo, molto.
Therefore
οὖν (oun)
Congiunzione
Greco di Strong 3767: Perciò, allora. Apparentemente una parola primaria; certamente, o di conseguenza.
che
Ὃ (Ho)
Pronome personale / relativo – Accusativo Neuter Singolare
Greco Forte 3739: Chi, che, cosa, che.
Tu adori
εὐσεβεῖτε (eusebeite)
Verbo – Attivo Indicativo Presente – 2a Persona Plurale
Greco Forte 2151: Essere doveroso, pio, mostrare pietà verso, adorare. Da eusebes; essere pio, cioè adorare, o rispettare.
come qualcosa di sconosciuto,
ἀγνοοῦντες (agnoountes)
Verbo – Participio Attivo Presente – Nominativo Maschile Plurale
Greco Forte 50: Non conoscere, essere ignorante, a volte con l’idea di ignoranza volontaria.
I
ἐγὼ (egō)
Pronome personale / possessivo – Nominativo 1a persona singolare
Greco Forte 1473: Io, il pronome di prima persona. Un pronome primario della prima persona I.
proclamare
καταγγέλλω (katangellō)
Verbo – Presente Indicativo Attivo – 1a Persona Singolare
Greco di Strong 2605: Dichiarare apertamente, proclamare, predicare, lodare, celebrare. Da kata e la base di aggelos; proclamare, promulgare.
a te.
ὑμῖν (hymin)
Pronome personale / possessivo – Dativo 2a persona plurale
Greco di Strong 4771: Tu. Il pronome personale della seconda persona singolare; tu.

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