Stauros

Nel Companion Bible del diciannovesimo secolo il teologo anglicano E. W. Bullinger glossò stauros come “un paletto verticale o palo”, interpretando la crocifissione come “appeso a un palo … stauros non era due pezzi di legno ad angolo”. Nel 1877 Bullinger scrisse:

Lo σταυρός (stauros) era semplicemente una pala eretta o un palo a cui i romani inchiodavano coloro che venivano così detti crocifissi, σταυρόω, significa semplicemente piantare pali. Non significa mai due pezzi di legno che si uniscono ad angolo. Anche la parola latina crux significa un semplice palo. La lettera iniziale Χ, (chi) di Χριστός, (Cristo) era anticamente usata per il Suo nome, finché non fu sostituita dalla T, la lettera iniziale del dio pagano Tammuz, verso la fine del IV secolo.

– A Critical Lexicon and Concordance to The English and Greek New Testament, 1877

Nel diciannovesimo secolo il teologo della Chiesa Libera di Scozia Patrick Fairbairn’s Imperial Bible Dictionary definisce stauros così:

La parola greca per croce σταυρός significava propriamente un palo, un’asta verticale, o un pezzo di paling, su cui si poteva appendere qualcosa, o che poteva essere usato per impalare un pezzo di terra. Ma una modifica fu introdotta man mano che il dominio e gli usi di Roma si estendevano nei paesi di lingua greca. Anche tra i romani la crux (da cui deriva la nostra croce) sembra essere stata originariamente un’asta verticale, e questa rimase sempre la parte più importante. Ma dal momento in cui cominciò ad essere usata come strumento di punizione, fu comunemente aggiunto un pezzo di legno trasversale: non sempre, però, anche allora. Infatti sembrerebbe che ci fossero più tipi di morte oltre a quella per croce; questa veniva talvolta ottenuta trafiggendo il criminale con un palo, che veniva fatto passare attraverso la schiena e la spina dorsale, e usciva dalla bocca (adactum per medium hominem, qui per os emergat, stipitem. Seneca, Ep. xiv.). In un altro luogo (Consul. ad Marciam, xx.) Seneca menziona tre forme diverse: “Vedo”, dice, “tre croci, non proprio di un tipo, ma fatte in modi diversi; una specie che sospende per la testa le persone piegate verso la terra, altre che le trafiggono attraverso le loro parti segrete, altre che estendono le braccia su un patibulum”. Non c’è dubbio, comunque, che quest’ultimo tipo era il più comune, e che circa il periodo dell’era evangelica la crocifissione era solitamente compiuta sospendendo il criminale su un pezzo di legno della croce. Ma questo non determina di per sé la forma precisa della croce …

– Patrick Fairbairn, Imperial Bible Dictionary, 1866

Henry Dana Ward, un avventista millerita, sostenne che l’Epistola di Barnaba, che potrebbe essere stata scritta nel primo secolo ed era certamente precedente al 135, diceva che l’oggetto su cui Gesù morì era a forma di croce, ma sostenne che l’autore dell’Epistola inventò questo concetto. Allo stesso modo definì uno stauros come un paletto semplice.

Stauros significa “un paletto eretto”, un paletto robusto, come quelli che i contadini conficcano nel terreno per fare le loro recinzioni o palizzate – né più né meno. … Zulon e stauros sono allo stesso modo il singolo bastone, la pala, o il palo, né più né meno, su cui Gesù fu impalato, o crocifisso. … Né stauros né zulon significano mai due bastoni che si uniscono ad angolo, né nel Nuovo Testamento né in qualsiasi altro libro.

– Henry Dana Ward, Storia della croce: The Pagan Origin, and Idolatrous Adoption and Worship of the Image, 1871

Un’opinione simile fu avanzata da John Denham Parsons nel 1896.

Lo stauros usato come strumento di esecuzione era (1) un piccolo palo appuntito o un paletto usato per conficcare il corpo, in modo da bloccarlo a terra, o altrimenti rendere la morte inevitabile; (2) un palo simile fissato nel terreno con la punta rivolta verso l’alto, sul quale il condannato era costretto a scendere fino a quando non fosse stato in grado di scappare; (3) un palo molto più lungo e più robusto fissato con la punta verso l’alto, sul quale la vittima, con le mani legate dietro di sé, era alloggiata in modo tale che la punta dovesse entrare nel suo petto e il peso del corpo provocasse ogni movimento per accelerare la fine; e (4) un robusto palo non appuntito o un palo piantato verticalmente nella terra, al quale la vittima era sospesa con una corda intorno ai polsi, che erano prima legati dietro di lui in modo che la posizione potesse diventare agonizzante; o al quale il condannato era legato, o, come nel caso di Gesù, inchiodato. Che quest’ultimo tipo di stauros, che era certamente quello a cui fu appeso Gesù, avesse in ogni caso una barra trasversale, è falso; che l’avesse nella maggior parte dei casi, è improbabile; che l’avesse nel caso di Gesù, è indimostrato.

Anche nel tardo Medioevo, la parola stauros sembra significare principalmente un pezzo di legno diritto senza una barra trasversale. Infatti il famoso lessicografo greco Suida afferma espressamente: “Stauroi; ortha xula perpegota”, e sia Eustatio che Esichio affermano che significava un palo dritto o un’asta.

Degno di nota è anche la luce laterale gettata sulla questione da Luciano. Questo scrittore, riferendosi a Gesù, allude a “Quel loro sofista che era legato a uno skolops”; la cui parola significava un singolo pezzo di legno, e non due pezzi uniti insieme.

– John Denham Parsons, The Non-Christian Cross, 1896

Nel XX secolo, William Edwy Vine ha anche ragionato che lo stauros come oggetto di esecuzione era diverso dalla croce cristiana. La definizione del Vine’s Expository Dictionary afferma che stauros:

denota, principalmente, “un paletto verticale o un palo”. Su di esso venivano inchiodati i malfattori per l’esecuzione. Sia il sostantivo che il verbo stauroo, “fissare ad un palo o paletto”, sono originariamente da distinguere dalla forma ecclesiastica di una “croce” a due raggi. La forma di quest’ultima ebbe la sua origine nell’antica Caldea, e fu usata come simbolo del dio Tammuz (avendo la forma del mistico Tau, l’iniziale del suo nome) in quel paese e nelle terre adiacenti, compreso l’Egitto. Verso la metà del III sec. Le chiese si erano allontanate o avevano travisato alcune dottrine della fede cristiana. Al fine di aumentare il prestigio del sistema ecclesiastico apostata, i pagani furono accolti nelle chiese a parte la rigenerazione per fede, e fu loro permesso di mantenere i loro segni e simboli pagani. Quindi il Tau o T, nella sua forma più frequente, con la traversa abbassata, fu adottato per rappresentare la “croce” di Cristo.

– William Edwy Vine, An Expository Dictionary of New Testament Words, 1940

Nel 21° secolo, David W. Chapman controbatte che:

… i riferimenti “fondamentali” a un palo verticale in σταυρός non implica giustamente che tale terminologia nell’antichità, quando applicata alla crocifissione, si applicava invariabilmente a una singola trave verticale. Questa è una fallacia di studio delle parole comune in certa letteratura populista. Infatti, tale terminologia si riferiva spesso nell’antichità a dispositivi di crocifissione a forma di croce.

– David W. Chapman, Ancient Jewish and Christian Perceptions of Crucifixion, 2008

Chapman sottolinea il paragone con Prometeo incatenato alle montagne del Caucaso fatto dallo scrittore del secondo secolo dopo Cristo Lucian. Chapman identifica che Luciano usa i verbi άνασκολοπίζω, άνασταυρόω, e σταυρόω in modo intercambiabile, e sostiene che al tempo dell’espansione romana in Asia Minore, la forma delle stauros usate dai Romani per le esecuzioni era più complessa di un semplice palo, e che le crocifissioni a forma di croce potrebbero essere state la norma in epoca romana. Il teologo presbiteriano John Granger Cook interpreta gli scrittori che vivevano quando venivano eseguite le esecuzioni tramite stauros, indicando che dal primo secolo d.C. ci sono prove che lo stauros per le esecuzioni era normalmente fatto di più di un pezzo di legno e assomigliava a oggetti a forma di croce come la lettera T. Il teologo anglicano David Tombs suggerisce che lo stauros si riferiva alla parte verticale di una croce a due travi, con patibulum come traversa. Dichiarazioni simili sono fatte da Jack Finegan, Robin M. Jensen, Craig Evans, Linda Hogan e Dylan Lee Lehrke.

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