Londra
Nel 1834, dopo non aver ottenuto diversi posti che aveva desiderato, Carlyle si trasferì a Londra con sua moglie e si stabilì a Cheyne Row. Anche se non aveva guadagnato nulla con i suoi scritti per più di un anno e temeva il giorno in cui i suoi risparmi si sarebbero esauriti, si rifiutò di scendere a compromessi e iniziò un’ambiziosa opera storica, La rivoluzione francese. Carlyle aveva ottenuto gran parte del materiale di partenza dal suo amico John Stuart Mill, che lo aveva raccolto con l’intenzione di scrivere forse lui stesso un tale volume. Mill era comunque favorevole al fatto che Carlyle assumesse il compito e discuteva spesso con lui il lavoro man mano che procedeva. Nel 1835 Carlyle gli diede da leggere una parte sostanziale del manoscritto. Mill arrivò alla residenza di Carlyle una sera dopo portando la notizia che la bozza era stata accidentalmente bruciata da un servo. Le circostanze esatte in cui avvenne l’incenerimento errato sono sconosciute. Una versione della storia suggeriva che le pagine erano state affidate all’amante di Mill al momento della loro distruzione, mentre un’altra sosteneva che era stato Mill stesso a lasciare incautamente il lavoro in giro.
Carlyle, che con sua moglie consolò lo sconvolto Mill quella notte, in seguito lo rassicurò ulteriormente in una generosa, quasi gaia, missiva. Questa pazienza era davvero notevole quando si considerano l’ambizione di Carlyle, la sua completa dipendenza da una carriera letteraria di successo, la sua povertà, i mesi di lavoro sprecato e la sua abituale malinconia e irritabilità. La verità sembra essere che egli poteva sopportare prove grandi e terribili più facilmente di piccole seccature. La sua abituale, frustrata malinconia derivava, in parte, dal fatto che le sue disgrazie non erano abbastanza gravi da corrispondere alla sua visione tragica della vita, ed egli cercò sollievo in un’intensa ricerca storica, scegliendo soggetti in cui il dramma divino, che mancava nella sua vita, sembrava più evidente. Il suo libro sulla Rivoluzione Francese è forse il suo più grande risultato. Dopo la perdita del manoscritto, lavorò furiosamente per riscriverlo, avendo alla fine accettato una compensazione finanziaria dal suo amico per il contrattempo. Fu terminato all’inizio del 1837 e ben presto ottenne sia una seria acclamazione che un successo popolare, oltre a portargli molti inviti a tenere conferenze, risolvendo così le sue difficoltà finanziarie.
Fedele alla sua idea della storia come una “Scrittura divina”, Carlyle vide la Rivoluzione francese come un giudizio inevitabile sulla follia e l’egoismo della monarchia e della nobiltà. Questa semplice idea era sostenuta da un’immensa massa di dettagli ben documentati e, a volte, una memorabile abilità nel tratteggiare il carattere. Il seguente estratto è caratteristico della prosa contorta, infuocata e carica di sventura, che è alternativamente colloquiale, umoristica e cupa:
un’augusta Assemblea ha steso il suo padiglione; coperto dall’infinito buio delle discordie; fondato sul fondo vacillante dell’Abisso; e mantiene un continuo baccano. Il tempo è intorno ad esso, e l’Eternità, e l’Inane; ed esso fa ciò che può, ciò che gli è dato di fare. (parte 2, libro 3, capitolo 3)
Anche se molti lettori furono entusiasti del dramma della narrazione, non sorprende che fossero perplessi dalle arringhe profetiche di Carlyle e dalla loro pertinenza alla situazione contemporanea.
In Chartism (1840) apparve come un acerrimo oppositore della teoria economica convenzionale, ma gli elementi radical-progressisti e quelli reazionari erano curiosamente confusi e mescolati. Con la pubblicazione di On Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History (1841) cominciò ad emergere la sua venerazione per la forza, particolarmente quando combinata con la convinzione di una missione data da Dio. Discusse l’eroe come divinità (miti pagani), come profeta (Maometto), come poeta (Dante e William Shakespeare), come prete (Martin Lutero e John Knox), come uomo di lettere (Samuel Johnson e Robert Burns), e come re (Oliver Cromwell e Napoleone Bonaparte). È forse nel suo trattamento dei poeti che Carlyle si mostra al meglio. Per quanto perverso potesse essere, non fu mai in balia della moda, e vide molto di più, in particolare in Dante, di quanto fecero altri. Due anni dopo questa idea dell’eroe fu elaborata in Passato e presente, che si sforzava di “penetrare… in un secolo un po’ remoto… nella speranza di illustrare forse il nostro povero secolo”. Egli contrappone la saggia e forte regola di un abate medievale alla confusa mollezza e al caos del XIX secolo, pronunciandosi a favore della prima, nonostante il fatto che avesse rifiutato il cristianesimo dogmatico e avesse una speciale avversione per la Chiesa Cattolica Romana.
Era naturale che Carlyle si rivolgesse a Cromwell come massimo esempio inglese del suo uomo ideale e che producesse il voluminoso Oliver Cromwell’s Letters and Speeches. With Elucidations nel 1845. La sua prossima opera importante fu Latter-Day Pamphlets (1850), in cui il lato selvaggio della sua natura era particolarmente prominente. Nel saggio sulle prigioni modello, per esempio, cercò di persuadere il pubblico che le sezioni più brutali e inutili della popolazione venivano coccolate nelle nuove prigioni del XIX secolo. Sebbene incapace di mentire, Carlyle era completamente inaffidabile come osservatore, poiché vedeva invariabilmente ciò che aveva deciso in anticipo che avrebbe dovuto vedere.
Nel 1857 si imbarcò in un massiccio studio di un altro dei suoi eroi, Federico il Grande, e La storia di Federico II di Prussia, chiamato Federico il Grande apparve tra il 1858 e il 1865. Qualcosa del suo atteggiamento politico in questo periodo può essere raccolto da una lettera, scritta nell’aprile 1855 al rivoluzionario russo in esilio Aleksandr Ivanovich Herzen, in cui dice “Non ho mai avuto, e ho ora (se fosse possibile) meno che mai, la minima speranza nel ‘Suffragio Universale’ sotto qualsiasi delle sue modifiche” e si riferisce alla “pura Anarchia (come io la considero tristemente) che si ottiene con ‘eloquenza parlamentare’, Stampa Libera, e contando le teste” (citato da E.H. Carr, The Romantic Exiles).
Purtroppo, Carlyle non fu mai capace di rispettare gli uomini comuni. Qui, forse, più che nei dubbi storici sulla veridicità dei Vangeli, era il nucleo del suo dissidio con il cristianesimo: esso dava troppo valore ai deboli e ai peccatori. La sua ferocia d’animo era composta da due elementi, un serio desiderio calvinista di denunciare il male e un abituale malumore nervoso, per il quale si rimproverava spesso ma che non riuscì mai a sconfiggere.