Metafisica

Età anticaModifica

PresocraticiModifica

Dagli inizi della filosofia in Grecia, con i cosiddetti filosofi presocratici, si è cercato di comprendere l’intero universo a partire da un unico principio universale (orixinariu), l’αρχη (arche).

Parmenide di Elea (VI-V secolo a.C.) è considerato il fondatore dell’ontologia. Fu lui che per primo utilizzò il concetto di essere/entità in forma astratta. Questa conoscenza metafisica è iniziata quando lo spirito umano ha preso coscienza che ciò che è reale non è più ciò che sentiamo, ma ciò che afferriamo attraverso il pensiero. (“La stessa cosa è pensare ed essere”) È ciò che chiama “essere”, che caratterizza attraverso una serie di determinazioni concettuali che sono al margine dei dati dei sensi, come innato, incorruttibile, immutabile, indivisibile, uno, omogeneo, ecc.

Parmenide sostiene la sua teoria con tre principi: “l’essere (o ente) è e il non-essere non è”, “nulla può passare dall’essere al non-essere e viceversa” e “pensare è lo stesso che essere” (quest’ultimo si riferisce al fatto che ciò che non può essere pensato non può esistere).

Dalla sua affermazione di base (“l’essere è, il non essere non è”) Parmenide deduce che l’essere è illimitato, uno e ossa l’unica cosa che potrebbe limitarlo è il non essere; ma poiché il non essere non è, non può stabilire alcun limite.

Ma, secondo Melsio di Samo, l’essere è infinito (illimitato nello spazio) ed eterno (illimitato nel tempo).

L’influenza di Parmenide è decisiva nella storia della filosofia e del pensiero stesso. Fino a Parmenide, la domanda fondamentale della filosofia era: di cosa è fatto il mondo (a cui alcuni filosofi rispondevano che l’elemento fondamentale era l’aria, altri che era l’acqua, altri ancora che era un misterioso elemento indeterminato, ecc) Parmenide installa sulla scena l'”essere” (cioè) come oggetto principale del discorso filosofico. Il prossimo passo decisivo fu fatto da Socrate.

SocrateModifica

La filosofia di Socrate (470-399 a.C.) era incentrata sulla moralità. La sua domanda fondamentale è: cos’è il bene? Socrate credeva che se si potesse far emergere il concetto di bene, si potrebbe insegnare alle persone ad essere buone (come si insegna la matematica, per esempio) e mettere così fine al male. Era convinto che il male fosse una forma di ignoranza, una dottrina chiamata intellettualismo morale. Ha sviluppato la prima tecnica filosofica conosciuta: la mayeutica. Consisteva nel fare e ri-fare domande sulle risposte che aveva trovato più e più volte, scavando sempre più a fondo. In questo modo cercò di arrivare al “logos” o alla ragione finale che faceva sì che una cosa fosse quella cosa e non un’altra. Questo “logos” è l’embrione dell’idea” di Platone, suo discepolo.

PlatoneEdit

Il punto centrale della filosofia di Platone (427-347 a.C.), per costituire la teoria delle Idee. Platone considerava che il logos di Socrate era una serie di caratteristiche che percepiamo nel nostro corpo (fisico o meno) e che sono collegate ad esso. Se togliamo questo logos dall’oggetto fisico e gli diamo un’esistenza formale, allora lo chiamiamo “idea” (la parola “scurrile” è introdotta da Platone). Nei dialoghi platonici Socrate appare chiedendo cosa sia giusto, coraggioso, buono, ecc. La risposta a queste domande presuppone l’esistenza di idee universali conoscibili da tutti gli esseri umani che si esprimono in questi concetti. È attraverso di loro che possiamo cogliere il mondo in costante trasformazione.

Le idee sono il paradigma delle cose. Il loro posto è tra l’essere e il non essere. Sono anteriori alle cose, che partecipano (methexis) ad esse. In senso stretto non lo sono. Le cose particolari che vediamo non rappresentano mai copie più o meno esatte delle idee. La determinazione o definizione delle idee si ottiene attraverso un rigoroso esercizio dialogico, inquadrato in un certo contesto storico e congiunturale, delimitando ciò su cui si concentra la ricerca (l’idea).

Con la teoria delle Idee Platone cerca di dimostrare la possibilità della conoscenza scientifica e del giudizio imparziale. Il fatto che tutti gli esseri umani abbiano la possibilità di contribuire alla stessa conoscenza, sia nel campo della matematica che in quello dell’etica, si spiega con la teoria dell'”alchordanza” (ἀνάμνησις), secondo la quale ricordiamo le idee eterne che conoscevamo prima di nascere. Con questo Platone spiega l’universalità della capacità razionale di tutti gli esseri umani, confrontandosi con alcuni dei suoi contemporanei che sostenevano l’incapacità degli schiavi o dei popoli non ellenici, tra gli altri, di contribuire alla conoscenza.

La tradizione post-platonica ha spesso inteso la teoria delle Idee di Platone, nel senso che supporrebbe un’esistenza delle idee separata dall’esistenza delle cose. Questa teoria della duplicazione dei mondi nel Medioevo portò alla controversia sugli universali.

AristoteleModifica

Aristotele (384-322 a.C.) non ha mai usato la parola “metafisica” nella sua opera conosciuta come Metafisica. Questo titolo è attribuito al primo redattore sistematico dell’opera dello Stagirita, Andronico di Rodi, il quale suppose che, a causa del loro contenuto, i quattordici libri da lui raccolti si trovassero “dopo la fisica” e per questo utilizzò il prefisso “μετὰ” (oltre… o dopo…).) Nella sua analisi dell’essere, Aristotele va oltre la materia, studiando le qualità e le potenzialità dell’esistente per finire a parlare del “primo essere”, il “motore immobile” e generatore immobile di ogni movimento, che sarà poi identificato con Dio.

Per Aristotele la metafisica è la scienza dell’essenza degli enti e dei principi primi dell’essere. L’essere è detto in molti modi e questi riflettono l’essenza dell’essere. In questo senso elabora l’essere, indipendentemente dalla carauteristica momentanea, futura e casuale. Il tutto (solitamente tradotto come sostanza) è ciò che è indipendente dalla carauteristica (incidenti), mentre la carauteristica dipende dal tutto. Ousia è ciò che esiste in se stesso, in opposizione all’accidente, che esiste in un altro. Grammaticalmente o categoricamente, si dice che la sostanza è ciò che si ascrive alla carauteristica, cioè è ciò su cui si può affermare ciò che può essere affermato (pedricato). Ciò che si afferma sulle sustanze sono i predicati.

Alla domanda su quale sarebbe infine l’essenza che rimane immutabile, la risposta di Aristotele sarebbe che l’ousia è una forma determinante – l’eidos – è l’origine di ogni essere, cioè che nell’eidos di Socrate, che nella sua forma umana, determina la sua umanità. E anche quello che determina che l’uomo essendo per natura libero e non essendo uno schiavo libero, determina che lo schiavo sarebbe una parte costitutiva del suo essere, cioè che non sarebbe mai uno schiavo del suo essere in una certa situazione e da una certa prospettiva, ma che sarebbe uno schiavo per natura.

MedioevoModifica

Nel Medioevo, c’era una discussione sulla distinzione e l’ordine delle gerarchie tra metafisica e teologia, soprattutto nella scolastica. La questione della distinzione tra metafisica e teologia è anche onnipresente nella filosofia moderna.

In IslamEdit

Dettaglio dell’affresco di Andrea Bonaiuto Il processo di San Tommaso, con l’immagine di Averroè seduto in riposo e pensoso, forse tratto da uno dei libri di Aristotele.

L’arrivo della filosofia greca nel campo d’influenza dell’Islam non fu diretto, ma ebbe a che fare con i monasteri cristiani della penisola araba e quelli appartenenti a ideologie considerate eretiche e che utilizzavano la filosofia greca non come fine, ma come pretesto per le loro speculazioni teologiche (come i Monofisiti o i Nestoriani), ma fu a causa del loro interesse utilitaristico per la medicina greca che iniziarono a fare traduzioni in persiano, che poi sarebbero state tradotte in arabo.

Devo dire che in arabo non esiste un verbo “essere” e ancor meno una costruzione come “essere”, che è un verbo trasformato in un sostantivo. È da notare che la metafisica del mondo islamico fu molto influenzata dalla metafisica di Aristotele.

Nel cristianesimo

Nel Medioevo la metafisica era considerata la regina delle scienze” (Tommaso d’Aquino). Ha proposto il modo di conciliare la tradizione della filosofia antica con la dottrina religiosa (musulmana, cristiana o ebraica). Basandosi sul tardo neoplatonismo, la metafisica medievale si propose di riconoscere il “vero essere” e Dio sulla base della pura ragione.

I temi centrali della metafisica medievale sono la differenza tra l’essere terreno e l’essere celeste (analoxia entis), la dottrina dei trascendenti e le prove dell’esistenza di Dio. Dio è il fondamento assoluto del mondo, che non può essere messo in dubbio. La questione è se Dio ha creato il mondo dal nulla (creazione ex nihilo) e se è possibile contribuire alla sua conoscenza attraverso la ragione o non attraverso la fede. Ispirata alla teoria della duplicazione dei mondi attribuita a Platone, la sua metafisica si manifesta come una sorta di “dualismo” del “qui” e dell'”oltre”, della “mera percezione sensibile” e del “pensiero puro come conoscenza razionale”, di una “immanenza” della vita interiore e una “trascendenza” del mondo esterno.

Età modernaModifica

La tradizione moderna ha ristretto la metafisica in: metafisica generale o ontologia, scienza dell’ente in quanto ente, e metafisica speciale, che si divide in tre rami:

  • Filosofia della natura, detta anche cosmologia razionale o cosmoloxy in breve.
  • Filosofia dell’uomo, detta anche psicologia metafisica, psicologia filosofica, psicologia razionale, antropologia metafisica o antropologia filosofica.
  • Teologia naturale, detta anche teodicea o teologia razionale.

Questa classificazione, proposta tra gli altri da Christian Wolff, è stata confutata, ma è ancora considerata canonica.

KantEdit

La filosofia trascendentale di Kant ha significato una “svolta copernicana” per la metafisica. La sua posizione nei confronti della metafisica è paradigmatica. Lo accusa di essere un discorso di “buoi” senza contenuto reale, accusandolo di rappresentare “le allucinazioni di un veggente”, ma d’altra parte recupera da esso l’essenza dell’universalità. Kant si propose di trovare una metafisica “che potesse essere presentata come una scienza”. Per questo ha prima esaminato la possibilità stessa della metafisica. Per Kant, le questioni ultime e le strutture generali della realtà sono soggette al trascinamento di suxetu. Da questo presupposto ha dedotto che è necessario studiare e riflettere su ciò che può essere conosciuto da noi. Attraverso la sua critica si oppose esplicitamente alle posizioni filosofiche che hanno come oggetto la questione di cosa sia la conoscenza. In questo modo si distanziò dagli approcci filosofici prevalenti, come l’empirismo, il razionalismo e lo scetticismo. Attraverso la critica si distanziò anche dal dogmatismo della metafisica che, secondo Kant, sarebbe diventata una serie di affermazioni su argomenti al di là dell’esperienza umana. Poi cercò di fare un’analisi dettagliata della facoltà umana di conoscere, cioè un esame critico della ragione pura, della ragione spogliata del sensibile (Critica della ragion pura, 1781-1787). Decisivo per questo è il presupposto epistemologico di Kant che la realtà non si presenta agli esseri umani come è realmente (in sé), ma come appare loro a causa della struttura specifica della loro facoltà di conoscenza.

Siccome anche la conoscenza scientifica dipende sempre dall’esperienza, l’uomo non può dare giudizi su cose che non sono date dalla sensazione (come “Dio”, “anima”, “universo”, “tou”, ecc.)) Per questo Kant ha dedotto che la metafisica tradizionale non è possibile, perché gli esseri umani non hanno la facoltà di formare un concetto basato sull’esperienza sensibile dello spirituale, che è l’unica che permetterebbe la verifica delle ipotesi metafisiche. Poiché il pensiero non ha alcuna conoscenza della realtà in questo senso, queste questioni rimarranno sempre nel regno dello speculativo-costruttivo. Quindi, per principio, non è possibile secondo Kant decidere razionalmente su questioni centrali come se Dio esiste, se la volontà è libera o se l’anima è immortale. La matematica e la fisica possono formulare giudizi sintetici a priori e quindi rivendicare una conoscenza universale e necessaria, una conoscenza scientifica.

Idealismo tedescoModifica

Dalla critica kantiana nasce l’idealismo tedesco, rappresentato soprattutto da Fichte, Schelling e Hegel, e che considera la realtà come un evento spirituale in cui l’essere reale si supera, essendo integrato nell’essere ideale.

L’idealismo tedesco riprende lo spirito trascendentale di Kant, vale a dire che, nell’ottica di intendere la metafisica come la ricerca del raggiungimento di una conoscenza oggettiva, si occupa delle condizioni lessicali della possibilità di tale conoscenza. In questo modo, considerare fino a che punto gli esseri umani possono arrivare a riconoscere questa evidenza. In questo modo, si rifugia nel fatto che la conoscenza è limitata all’esperienza possibile e ai meri fenomeni, e propone una via d’uscita da questa posizione, tornando ai postulati metafisici che possono rivendicare una validità universale: la “conoscenza assoluta” come si diceva da Fichte a Hegel. Se accettiamo che i contenuti della conoscenza non sono validi in relazione al suxet -come supponeva Kant- e consideriamo che questo perspeutivo è assoluto, cioè è il perspeutivo di un suxet assoluto, allora la conoscenza valida per questo suxet assoluto ha anche validità assoluta. Sulla base di questa impostazione, l’idealismo tedesco ritiene di poter superare la contraddizione empirica tra suxet e oxetu, per poter cogliere l’assoluto.

Hegel sostiene che una differenza non può nascere o essere compresa da un’identità tra puro e assoluto (una tale identità sarebbe come “il dado, in cui tutte le vacche sono nere”): non spiegherebbe la realtà in tutta la sua diversità. Ecco perché “l’identità dell’assoluto” deve essere intesa come proveniente dalla sua origine e come contenente in sé la possibilità e la necessità della differenziazione. Ciò implica che l’assoluto si realizza nella sua identità attraverso l’affigurazione e il superamento dei momenti non identici, cioè l’identità dialogica. Da questo approccio Hegel sviluppò la Scienza della Logica, considerata, sembra, come l’ultimo grande sistema della metafisica occidentale.

Epoca contemporaneaEdit

Friedrich Nietzsche considera Platone l’iniziatore del pensiero metafisico e lo ritiene responsabile del dibattito sull’essere che prenderà in seguito forme diverse ma costanti. La divisione tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile, con la sua relazione corpo-anima, e la preminenza di quest’ultimo assicurata dalla teoria degli Idei, presuppone il vero mondo oltre i sensi. Questo esclude dal pensiero il portare, ciò che non può essere appreso nella divisione sensibile-intelligibile a causa della sua qualità informe, e che esclude anche le successive divisioni aristoteliche, come sostanza-accidente e atto-potenza.

Martin Heidegger diceva che il nostro dominio è quello del compimento della metafisica”, perché dagli inizi del pensiero occidentale si sono prodotti certi risultati che configurano un panorama che il pensiero metafisico non può più rendere conto. L’essenza stessa della metafisica portava al di fuori di essa. Di fronte a ciò, la potenza del pensiero consiste precisamente nel conoscere e nell’intervenire sul conoscere. Ma il pensiero metafisico è già privo di potenza e ha già dato i suoi ultimi frutti.

Heidegger affermava che la metafisica è “il pensiero occidentale nella totalità della sua essenza”. L’uso del termine “essenza” in questa definizione implica che l’unico modo di studiare la metafisica come forma di pensiero è o deve essere la metafisica nel primo senso indicato sopra. Questo significa che i critici della metafisica come essenza del pensiero occidentale sono consapevoli che non esiste una “terra di nessuno” in cui stabilirsi, al di là di quella forma di pensiero; né lo studio solitario e il cambiamento cosciente e rigoroso degli strumenti forniti dalla tradizione filosofica, possono avvicinare la potenza del pensiero alle tre trasformazioni operanti in ciò che la metafisica ha studiato: l’essere, il tempo, il mondo, l’uomo e il suo sapere. Ma questo cambiamento suppone di per sé un “salto” che ogni tradizione di pensiero ha messo in scena, ha potuto fare o ha sognato di fare nel corso del suo sviluppo. Il salto fuori dalla metafisica e quindi, forse, la revoca delle sue conseguenze.

Heidegger ha caratterizzato il discorso metafisico per la sua impotenza a pensare la differenza ontico-ontologica, cioè la differenza tra enti ed essere. La metafisica si riferisce all’essere come modello degli enti (cose), ma il primo è irriducibile al secondo: gli enti sono, ma l’essere degli enti non può essere caratterizzato come tale. L’essere è pensato come un’entità suprema, che lo identifica con Dio; la spinta onto-teologica è una costante del pensiero occidentale. Per Heidegger la metafisica è l’oblio dell’essere”, e la consapevolezza di questo oblio deve aprire un nuovo dominio, confrontato con la possibilità di esprimere ciò che è stato lasciato ai margini del pensiero.

La filosofia analitica fu fin dai suoi inizi con autori come Russell e Moore molto scettica sulla possibilità di una metafisica sistematica come quella tradizionalmente difesa. Questo perché la nascita della filosofia analitica fu dovuta principalmente al tentativo di ribellarsi all’idealismo neo-hegeliano, che allora era esemone nell’università britannica. Sarà a partire dai primi anni venti che il Circolo di Vienna offrirà una critica totale della metafisica come un insieme di proposizioni prive di significato perché non soddisfano i criteri verificatori del significato. Tuttavia, questa posizione è ancora minoritaria nel panorama analitico, dove si è recuperato l’interesse per alcuni problemi classici della metafisica come gli universali, l’esistenza di Dio e altri di natura ontologica.

Il post-strutturalismo (Gilles Deleuze, Michel Foucault, Jacques Derrida) riprende la critica di Nietzsche, e sostiene che ciò che è impensabile nella metafisica è proprio la “differenza” come tale. La differenza, nel pensiero metafisico, è subordinata agli enti, tra i quali si dà come relazione”. La pretesa di “inscrivere la differenza nel concetto” plasmandolo e sforzandosi di farlo, e sforzandosi di farlo, le linee del pensiero occidentale appaiono già come una pretesa che porta la filosofia oltre la metafisica.

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